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Manifesto per una rete delle resistenze territoriali

Diritto alla città, riappropriazione dei territori: per una rete delle resistenze territoriali

Un evento di portata internazionale, una grande opportunità per tutti, uno spazio di discussione sull’alimentazione e la sostenibilità ambientale

Expo non è nessuna di queste cose.

Dietro un fragile paravento poggiato su cibo e alimentazione ed una retorica ecodemocratica, si cela la vera natura di Expo 2015: vettore di speculazione, strumento d’imposizione del modello neoliberale, quindi al tempo stesso laboratorio di un nuovo modello di governo del territorio.

Se Expo è esposizione di qualcosa di certo non lo è di cereali, farine, cacao, tuberi o pratiche alimentare “buone pulite giuste”, ma della riorganizzazione del sistema economico: nessuna energia per la vita o per nutrire il pianeta, ma la risposta del capitalismo alla crisi, brutale e violenta, che attraverso Expo, diviene sistema.

L’Esposizione universale diviene così il collettore degli esercizi di dominio e saccheggio dei territori contro cui ci siamo scontrati negli anni, selezionati nei termini della loro efficacia predatoria, astratti dalla loro specificità contingente per promuoverli allo status di norma sistemica.

Come l’emergenza rifiuti in Campania ha anticipato i decreti attuativi dello Sblocca Italia, la gestione delle emergenze e dei grandi eventi ha prodotto un esercito di commissari che marciano a suon di deroghe, così gli apprendistati e stage sono avanzati alla barbarie del lavoro gratuito, e via dicendo: tutti fili che si annodano nel modello Expo, nella costruzione della più avanzata macchina di sfruttamento dei territori e delle nostre vite.

Expo, dietro lo slogan “nutrire il pianeta, energia per la vita”, mette sullo stesso piano multinazionali e piccoli produttori, ogm e biologico, grande distribuzione organizzata e distribuzione alternativa come possibili elementi di risoluzione della fame nel mondo. E’ la finzione democratica in cui il consumatore/visitatore dovrà scegliere l’opzione migliore, all’interno di quello che vuole essere il centro commerciale del futuro. In un piano, quindi, falsamente orizzontale, dove chi ha più soldi ottiene più visibilità, e nella corruzione culturale in cui multinazionale e piccolo produttore sono attori paritetici nella produzione/distribuzione di cibo e alimenti, si nasconde l’inganno della proposta Expo 2015.

Superare la frammentazione: appunti per una piattaforma comune delle lotte
Il paradigma Expo non è però riducibile ad una semplice somma di speculazioni e devastazioni: è l’affermazione di un sistema totalizzante, in grado di riscrivere la società in funzione di meccanismi predatori.

Meccanismi che hanno ambiti di applicazione differenti, come differenti sono le risorse predate, le realtà coinvolte, l’entità dei danni causati; una eterogeneità da cui deriva la frammentazione delle lotte e delle vertenze che vi si oppongono.

Tuttavia il contrasto dei meccanismi predatori del modello Expo richiede, per realizzarsi con successo, il superamento della separazione dei conflitti, congiungendo le lotte attraverso una piattaforma comune fondata sulla condivisione di pratiche, attitudini e analisi.

I tentativi fatti in passato in tal senso si sono scontrati con la difficoltà derivante dalla loro eterogeneità. Ma pensiamo che la situazione sia ora più matura proprio grazie agli incontri (in piazza, sui sentieri, nei dibattiti) avvenuti in questi anni che rendono possibile unire lotte diverse, a volte distanti tra loro: operando un cambio di prospettiva, superando la specificità delle singole macchine predatorie, analizzandole a fondo per far emergere uno schema comune.

La matrice della predazione
L’analisi dei diversi dispositivi di predazione ha manifestato che il loro tratto unificante è proprio il saccheggio: una macchina predatoria si dà proprio nell’atto dell’estrazione irreversibile e a senso unico delle risorse (lavorative, energetiche, ambientali, collettive).

Predazione che, per sua stessa definizione, genera un credito collettivo.
Pensiamola algebricamente, come una operazione commerciale messa a bilancio: una risorsa comune viene tolta alla collettività in favore di pochi singoli, generando così un gigantesco segno “meno” collettivo in favore di un segno “più” appannaggio di pochi.

Compiere l’operazione inversa, recuperando ciò che è stato sottratto, richiede che il credito generato dalla predazione venga riconosciuto collettivamente come tale.
Rendersi conto degli innumerevoli segni “meno” è un passaggio fondamentale anche per frantumare la retorica del debito e dell’austerity, in favore di lotte di riappropriazione che sappiano arricchirsi oltre la difesa dell’esistente o la prospettiva conservatrice di ritorno ad ipotetiche passate età dell’abbondanza (rappresentato dalla visione quasi mitologica di quello che fu il Welfare state).

Il riconoscimento collettivo del credito viene ampiamente facilitato dalla quantificazione, in termini monetari e finanziari, di quest’ultimo. Quantificare quanto costa una grande opera inutile, i tagli ad un servizio pubblico, le devastazioni ambientali nei termini del valore dei terreni persi, le future spese mediche derivanti dalle nocività e via dicendo, permette un riconoscimento naturale di quanto sia stato sottratto alla collettività ed una condivisione immediata nell’esigenza di riappropriarsene.

Permette quindi di mettere in campo il passaggio successivo: la mobilitazione per la riscossione dal basso di questo credito.

Già nella sua messa in atto questa mobilitazione deve caratterizzarsi come funzionale alla costituzione di un meccanismo di redistribuzione che sia in grado, una volta effettuata la riappropriazione, di riportare alla collettività le risorse sottratte.

Un meccanismo virtuoso che, attraverso lotte di riappropriazione, veda la nascita di meccanismi redistributivi in opposizione ai meccanismi predatori: a predazione della collettività si risponde con riappropriazione collettiva. In questo senso, proprio per uscire dalle logiche conservatrici o appiattite sull’esistente, è necessario affermare che dopo la riappriopriazione e la redistribuzione, deve venire la ricostruzione: sul crollo (più o meno veloce, più o meno a rilento) di questa società iperliberista che uccide la società e saccheggia le risorse collettive, è necessario ripartire da basi completamente diverse per un modello di sviluppo e società orientato in senso nettamente egualitario.

Verso la riappropriazione: dal Primo maggio oltre il modello Expo
Sfruttare l’unificazione delle speculazioni indotte da Expo, per applicare una matrice di riappropriazione che sappia essere chiave di lettura e coordinamento delle opposizioni, esigere il credito che ci è stato sottratto, mettere alla prova le forme di lotta tradizionali e, al tempo stesso, sperimentare nuove forme di opposizione.

In altre parole, partire da Expo con una mobilitazione in grado di stare al passo delle trasformazioni del capitale, che sappia raccogliere la sfida di produrre un’opposizione determinata e reale, che agisca sui territori consapevole di attaccare la materialità dei meccanismi predazione costruendo meccanismi di redistribuzione di segno opposto.

Sono questi gli obbiettivi che ci proponiamo.

Ci appelliamo a tutte le realtà, comitati, collettivi, singoli, che condividono con noi questa visione di una mobilitazione futura, per compiere insieme il primo passo nelle giornate di maggio: una opposizione contro i meccanismi e i simboli concreti del modello Expo, rappresentato nell’area espositiva milanese, che durante le giornate della sua inaugurazione vedano riunirsi, lottare e prendere le strade chi già ora si oppone e si prepara alle lotte future.
Attraverso la costruzione di uno spezzone delle resistenze territoriali all’interno della NoExpo MayDay del Primo maggio 2015.

No Expo in ogni città!
Contro il paradigma Expo, oltre il suo modello, contro la predazione, per la redistribuzione!

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