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A Expopolis il mattone non tira più

Da questo sito già alcune settimane fa avevamo parlato del rischio bolla immobiliare e di quanto questo significasse ipotecare il futuro di Milano in nome di Expo2015 causa minori introiti da oneri di urbanizzazione, impegni presi da Arexpo con Banca Intesa e Fiera per i destini futuri del sito Expo (leggi case) e sovrabbondanza di offerta di case per un target di acquirenti che non esiste.

Negli ultimi giorni aveva rilanciato il collettivo OffTopic dal suo sito, osservando la crisi del cantiere di Isola-Garibaldi dalle finestre di PianoTerra, che è anche la nostra casa.

22394 SICKI - MILANO: TORRE GARIBALDI DA OGGI IL GRATTACIELO PIU' ALTO D'ITALIA

Ora sembrano accorgersene anche i media mainstream: a Milano il mattone non tira più, i grandi cantieri sono in crisi, le compravendite ai minimi storici. Ed ecco un rimbalzare di analisi su colpevoli, cause, soluzioni. A sentirli sembrano dischi rotti: colpa dell’IMU, colpa delle lungaggini e dei controlli, colpa degli operai edili che non accettano il lavoro in schiavitù come nell’antico Egitto (anche se il caporalato e il controllo mafioso non sono molto differenti), colpa della crisi. Tutti che guardano il dito anziché osservare la luna. Come se fossero alcune centinaia di euro (mediamente) di IMU all’anno a incidere sulle scelte e le possibilità di persone e famiglie e non l’austerity, la precarietà e i bassi redditi, la speculazione immobiliare, un’offerta di case a costi lontani dalle possibilità e dalle aspettative di chi oggi cerca o cercherebbe un tetto a Milano. Dove, lo ricordiamo, oltre a migliaia di vani immobiliari nuovi o in costruzione, ci sono migliaia di alloggi vuoti, sfitti, inoccupati. Perchè il vero problema di questi anni non è che mancano le case, semmai mancano le case popolari.

Non è nostro interesse fare analisi di natura macroeconomica e svelare il circuito vizioso costruito nell’ultimo ventennio e che lega crisi economica, crisi immobiliare, precarietà, debito degli Enti Locali. Ci interessa di più sottolineare che, insieme alla crisi del mattone, crolla un immaginario di città che doveva trovare in Expo2015 il suo simbolo e rilancio e che, invece, rischia di avere da Expo il colpo del ko. Insieme ai grattacieli che non si faranno a Citylife o ai cantieri fermi dell’Isola va in crisi un modello di città che puntava sugli immobili di pregio, sulla città verticale, sulla magia dei rendering per mascherare il vuoto progettuale l’assenza di un’idea di città.

Erano gli anni ’90 quando si gettarono le basi per i grandi progetti per Milano (alcuni in realtà già vecchi di qualche anno) sulle macerie della città delle fabbriche che non c’era più. Archistar di fama internazionale per la progettazione, multinazionali del cemento e grandi gruppi finanziari e assicurativi coinvolti, una gara di priapismo a disegnare lo skyline più accattivante e futuristico, il tutto con la benedizione dei poteri locali e non, perché in fondo, anche negli anni del formigonismo e della Milano in mano alla desta, il partito del mattone è sempre stato trasversale (e del resto c’era anche Penati a garantire questo sistema). Ecco così i grandi progetti: Citylife, Isola-Garibaldi, Porta Nuova-ex Varesine, Santa Giulia, P.ta Vittoria e, a Sesto S.G., le ex aree industriali della Stalingrado d’Italia. Basta prendere in mano il dossier ufficiale di candidatura per Expo 2015 e sono tutti rappresentati e citati come i “gioielli” che avrebbero simboleggiato nel 2015 il rinascimento ambrosiano, unitamente ad altre grandi realizzazioni urbanistiche (dal CERBA alla Citttà della Saluta, dall’area Calchi-Taeggi a Cascina Merlata) anch’esse in cattive acque o ben lungi dall’essere iniziate. Dove non è stata la crisi a determinare fallimenti, rinunce o difficoltà e stata la natura cialtrona della speculazione immobiliare a determinare problemi legati a bonifiche mancate o indagini giudiziarie (vedi Santa Giulia o Calchi-Taeggi). Non solo ma sono ormai milioni i metri quadri di Terziario inutilizzati, vuoti, ma ancora se ne costruisce (basti pensare all’area di Via Stephenson o al Portello) e non si riconvertono a uso abitativo gli uffici vuoti per non ammazzare del tutto il mercato immobiliare.

Questo immaginario era già in crisi quando è stato approvato nel 2012 il nuovo Piano di Governo del Territorio del Comune di Milano dalla Giunta Pisapia, a modifica parziale di quello morattiano. Eppure non è cambiata la storia, con nuovi ambiti di trasformazione(su tutti gli scali ferroviari), nuovi quartieri, una città pensata a misura di oneri di urbanizzazione e con in più il pesante ricatto dell’housing sociale: vuoi le case a basso prezza? Fammi costruire più edilizia libera. E non si vede la fine di questa logica: migliaia di alloggi previsti a Cascina Merlata, cemento alla Bovisa oltre alla pressione immobiliare che coinvolge tutto l’hinterland e aumenta esponenzialmente l’offerta. Aggiungiamoci anche il post-Expo che porterà in dote un sito da un milione di mq al 50% edificabile, un debito con Banca Intesa da onorare per il prestito avuto per l’acquisto del sito stesso, Fiera (socia al 27% di Arexpo) che deve far tornare i conti e, soprattutto, il probabile deficit di gestione di Expo da ripianare causa minori introiti (ma perché 20mln di persone dovrebbero venire a Rho-Pero nel 2015 a giocare con la realtà virtuale?).

Milano sta avviandosi su una china che potrebbe sfociare in una crisi immobiliare ancora più acuta. Non è tanto il fallimento di qualche speculatore a preoccuparci, semmai le macerie che rimarranno alla città: quelle fisiche e quelle economiche. Soprattutto le seconde, perché il rischio di  un Comune al default o sotto ricatto di banche prestatrici (come Torino) è altissimo e continuare a puntare su gli oneri di urbanizzazione per fare cassa può diventare deleterio, soprattutto se ci sono già centinaia di milioni di euro di buco e 370 mln di € da trovare per Expo. In questo senso, continuare a chiedere la deroga la patto di stabilità, anziché farsene una ragione e ammettere che soldi per fare Expo non ci sono, è deleterio oltre che pericoloso.

Come ripagherà Milano i debiti? Quanto e cosa dovrà alienare per fare cassa? Quanto dovrà alimentare i meccanismi della speculazione immobiliare per mantenere gli impegni?

Sono domande che dovrebbero farsi innanzi tutto i milanesi, anziché assistere impassibili a quanto sta accadendo attorno a Expo 2015 o, addirittura, beandosi nell’attesa del grande evento.

 

 

 

 

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