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MAYDAY2014 – Assemblea metropolitana #5M @pianoterralab

 

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A un anno dall’inizio di Expo 2015 e in contemporanea con la presidenza semestrale dell’Italia dell’Unione Europea, la partita si fa sempre più dura. E le menzogne ancora più pesanti. Dicono che sta per cominciare la ripresa economica, ma non ci dicono per chi. Sicuramente non a vantaggio dei precari e delle precarie, delle inoccupate e dei disoccupati, dei lavoratori autonomi eterodiretti o delle lavoratrici stabili precarizzate, o dei migranti.

Ma è vero, la ripresa c’è. E’ la ripresa delle rendite finanziarie: in un anno, il 2013, le borse sono salite di oltre il 20%, tanto quanto è aumentato il numero dei disoccupati e dei poveri. E’ la ripresa dei profitti, sempre più trainati dalla finanza e diretta conseguenza della riduzione dei costi del lavoro (leggi caduta dei salari) e dell’aumentato sfruttamento delle nostre vite. E’ la ripresa della speculazione dei territori e dell’abitare: da Expo2015 alla Tav. La rendita territoriale ha maturato ampi guadagni, lucrando non solo sulla commistione mafiosa che sta dietro le grandi opere, ma sul bisogno di case di chi è stato buttato sul lastrico dalla crisi. Un esproprio continuo di beni comuni, che deriva dalla morte della democrazia, sullo sfondo di un gioco politico di ricambio che conferma il diktat delle politiche d’austerity con la scusa del debito.

Già durante la Mayday2013 l’abbiamo gridato forte e chiaro: l’unica grande opera che vogliamo è il reddito. L’affaire Expo2015 condensa le peggiori previsioni e dà l’idea del modello di sviluppo che si vuole perseguire: un modello fondato su debito, cemento e precarietà. La denuncia dell’anno scorso non solo ha trovato piena conferma quest’anno, ma le peggiori aspettative sono state superate. Alle nostre proposte in tema di reddito incondizionato, salario minimo, gestione comune del territorio, partecipazione dal basso si è risposto con l’accordo sindacale del luglio scorso per Expo2015 che prevede l’utilizzo gratuito delle capacità lavorative di 18.000 giovani, e per trovarli si è già messa in moto la solita macchina mediatica compiacente e servile. Quello che si offre è lavoro non retribuito, nuova forma di moderno schiavismo.

Il percorso iniziato nel 2013 con il count-down verso Expo dunque continua, sostenuto anche dalle mobilitazioni che in questi mesi si sono opposte alle deturpazioni territoriali del grande evento. L’obiettivo è sempre quello di andare oltre la parade e molte proposte stanno già circolando, senza dimenticare che a luglio a Milano si svolgerà il summit europeo sulla disoccupazione giovanile, momento che ancora una volta sancirà, nell’anno delle elezioni per un parlamento europeo svuotato di qualsiasi capacità decisionale, la validità della politica dei due tempi, ovvero la necessità di sacrifici e rigore uniti alla rinuncia a diritti e stabilità di reddito e lavoro, in nome di un futuro e non meglio precisato miglioramento sociale che, come già sappiamo da tempo, non avverrà mai.

Per discutere dell’organizzazione della Mayday 2014,  convochiamo un’assemblea metropolitanaMERCOLEDI 5 MARZO ALLE 21.00.

Ci vediamo al PIANOTERRA via F. Confalonieri 3, Milano

INTELLIGENCE PRECARIA

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La terza dimensione di Expo: la materialità del cemento

Un anno vissuto con l’attitudine noexpo non si divide in giorni e mesi, ma in piccoli o grandi momenti. Per questo ci sembra opportuno riprendere parola a fronte degli eventi così significativi come quelli delle ultime settimane: i primi cantieri dentro il perimetro della città di Milano, la risposta decisa e contraria dei quartieri cantierizzati, l’imbarazzo e i silenzi della Giunta Pisapia, lo stop dei lavori e delle ruspe, lo stato di solitudine della popolazione nei confronti degli interessi privati, la partecipazione attiva come strumento per ottenere risultati. Il comunicato che segue cerca di unire i puntini del nostro calendario alla luce di questi eventi. Buona lettura, ci vediamo tra Trenno e Baggio ai primi di gennaio.

A cinquecento giorni dall’apertura dei cancelli EXPO 2015 ha aperto cantieri anche dentro la città di Milano. Dopo anni di retoriche pro-evento, in cui la propaganda di Expo come volano per il rilancio dell’economia lombarda e nazionale è entrata in modo capillare nei discorsi pubblici delle principali cariche dello Stato e delle Istituzioni, l’apertura dei primi cantieri cittadini, tra piazza Castello, la Darsena e i parchi del nord-ovest milanese (parco di Trenno, delle Cave, Pertini), deve essere annotata come un passaggio decisivo: stiamo assistendo alla trasformazione delle infinite narrazioni expottimiste in cemento. Ed è proprio la materialità irreversibile del cemento -trasformando alcuni parchi cittadini in piccoli giardini di quartiere grazie al progetto della Via d’Acqua- che ci permette di toccare con mano le nocività insite nel progetto, a scapito del tema ufficiale della manifestazione (“Nutrire il pianeta – Energia per la vita”).

Sono stati anni in cui la retorica della grande promessa di Expo2015 e il parallelo sgretolarsi dell’immagine trionfale del grande evento (fenomeno dovuto a incompetenze, stupidità e alleanze con settori della criminalità organizzata, che hanno causato spreco di denaro pubblico e ritardi anche imposti dalla magistratura) non sono riusciti a suscitare l’interesse della popolazione. Il commissario con incarichi speciali Sala, il capo del governo Letta, il sindaco Pisapia, Confindustria, le sigle dei commercianti e tutti i loro partner non aspettavano altro. Da qualche settimana invece sta accadendo qualcosa, le persone si stanno interessando davvero e partecipano, ma diversamente da come molti si sarebbero aspettati. Ve li citiamo caso per caso, suggerendo a chi legge di mantenere un’ampia prospettiva di indagine e di analisi. Ieri la Martesana e l’est milanese per fermare la TEEM, oggi il parco di Trenno per fermare la Via d’acqua: se ci fermassimo all’elemento localistico perderemmo di vista il quadro complessivo e, con questo, gli strumenti più affilati con cui abbiamo costruito in questi anni l’opposizione a EXPO 2015 (dalla scomposizione del grande evento nelle tre direttrici “debito-cemento-precarietà”, alla creazione e scrittura di “Expopolis” come gioco e poi come libro, con tutto quello che ci sta in mezzo e che verrà).

Partiamo allora dal caso della mobilitazione che negli ultimi due mesi ha interessato la difesa dei grandi parchi della periferia nord-ovest (Trenno, Cave e Pertini), contro il progetto della Via d’Acqua: il primo vero fronte caldo che si è aperto in città dichiaratamente contro Expo, che ha visto la partecipazione dei cittadini dei quartieri e il contributo generoso degli attivisti di altri comitati e realtà, con una presenza costante dentro i cantieri per impedire i lavori e presidi sotto Comune e sede di Expo Spa. Proteste che hanno ottenuto un primo risultato importante: il blocco dei lavori e la disponibilità della Giunta a ridefinire il progetto. Per la prima volta la macchina di Expo si blocca e viene messa in discussione dalla mobilitazione popolare. E in discussione sono anche i poteri di Sala, commissario speciale e A.D. di Expo Spa, che decide se vanno o non vanno fatte le bonifiche. Un risultato che lascia sullo sfondo almeno un paio di considerazioni che non possono essere trascurate. La prima riguarda i poteri speciali conferiti a Sala: l’eletto da nessuno, ma scelto da alcuni particolarmente interessati, decide per tutti e, con un solo colpo di penna, può permettere di effettuare lavori su terreni dichiarati pericolosi (e che andrebbero bonificati prima di ogni eventuale lavoro) a scapito della popolazione. La seconda è una diretta conseguenza di questa scelta e verte sul diritto alla salute quando la politica (e i politici) si ritira e saltano i meccanismi di rappresentanza e mediazione: nel silenzio della Giunta Pisapia (colpevole di non aver stralciato in toto il progetto EXPO quando poteva farlo) e nell’impossibilità imbarazzata dei suoi organi di controllo di fermare le ruspe su quei terreni, il diritto alla salute diventa un lusso per alcuni e una scommessa per tutti gli altri, dentro una partita che si gioca tra singolo cittadino e impresa privata che fa i lavori dopo l’avvallo del commissario speciale. E’ il caso degli operai stranieri che, a inizio novembre, sono saliti su una delle gru del cantiere Merlata dove lavoravano, chiedendo i quattro mesi di salario non ancora corrisposti. Nel silenzio dei media e della Giunta arancione si è consumata la prima protesta contro le condizioni di lavoro imposte nei cantieri dell’Expo, in particolare ai lavoratori non sindacalizzati. E’ il caso, però, anche degli operai edili appartenenti alle sigle confederali, che venerdì 13 dicembre hanno scioperato e manifestato proprio ai cancelli dei cantieri nord dell’Expo. Il motivo? Protestare contro la deroga al Contratto nazionale per chi lavora alla costruzione del sito del megaevento: decisione che comporta salari più bassi anche per i sindacalizzati e l’applicazione di un modello contrattuale che azzera le tutele dei Ccnl, generalizzando così la precarietà già prevista dall’accordo del 26 luglio sui contratti di lavoro dentro il megaevento (e oltre). E’ il caso anche dei movimenti per la casa e dei Comitati per il Diritto all’Abitare, che devono affrontare emergenze abitative in pieno inverno avendo a che fare con un’Aler corrotta e incapace, che si è “scoperta” con un buco di oltre 400.000 euro dovuto a cattivi investimenti e mala amministrazione. Così come è il caso del movimento studentesco milanese e degli insegnanti delle scuole comunali, che negli ultimi mesi hanno riconosciuto nell’enorme buco di bilancio causato da Expo una delle principali cause della chiusura di alcune scuole (come nel quartiere Gallaratese, proprio quello interessato dalla Via d’Acqua), del progressivo abbandono da parte delle istituzioni competenti degli istituti ancora aperti.

La materialità del processo Expo, questa dimensione fatta di cemento e ruspe a scapito di tessuti sociali vivi, pur essendo all’inizio, è quindi già entrata prepotentemente nella vita pubblica della città sollevando resistenza. I prossimi mesi si rivelano quindi decisivi. Movimenti sociali, comitati di quartiere, cittadini di diverse fasce di reddito, lavoratori precari o in nero e operai: è evidente che tutti questi soggetti sono giunti sotto il Comune di Milano, sotto la sede di Expo di via Rovello e hanno fronteggiato i cantieri aperti (i tre luoghi simbolo delle larghe Intese che uniscono politica, finanza, grossa e piccola imprenditoria) arrivando da percorsi diversi. Però, esattamente come esiste una materialità comune che caratterizza il mega evento, allora è possibile individuarne una condivisa anche tra i molti soggetti che a questo si oppongono. “A lotte comuni un vocabolario comune”, abbiamo detto più di una volta: la sfida che ci aspetta nel cruciale 2014 è cominciare a raccogliere quanto seminato nel lavoro degli anni scorsi e dargli un senso in vista del primo maggio 2015.

Il primo passo è bloccare la Via d’acqua. Dopo aver parlato di NoExpo è ora di agire da NoExpo.

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